lunedì 11 maggio 2009

Sui cicli e l'ineluttabilità

L’ipocrisia dell’esistenza è una realtà che già abbastanza grava sui nostri animi, sui nostri cuori. Non abbiamo bisogno di auto lesionarci ingiustamente.

Siamo immersi in una spirale di accondiscendenza e fatalità, rispetto alla nostra condizione, in cui le occasioni vengono e passano sfuggendoci di mano.

Un circolo vizioso in cui danziamo i nostri valzer solitari, bendati, calpestandoci i piedi l’un l’altro, eseguendo occasionalmente rari caschè nelle braccia di qualcuno.

Spirale e cerchio si fondono, in una confusa e caotica trasformazione, danno vita ad una forma inesplicabile ed intricata che giustamente rappresenta la concretezza delle nostre interazioni. Un nastro di Möbius in cui tutto cambia continuamente e senza sosta, ma rimane lo stesso.


Una condizione di eterna variazione statica. Un omeostasi disgiunta dalle situazioni e dalle caratteristiche del momento. Circostanze in cui cambiano luoghi, persone, possibilità ed ingerenze e magari anche stati d’animo, ma il cui svolgimento porta al medesimo sviluppo. O alla medesima degenerazione.

Ma siamo veramente prigionieri di questa iterazione opprimente, una ricorsione che non restituisce niente? Siamo veramente bloccati in questa tormentante equazione dove possono cambiare tutte le incognite ma il risultato è eternamente quello? È come lo concepiva Parmenide, immutabile de eterno? Siamo frecce che non raggiungono mai il bersaglio?


Io non ritengo, io non credo.

E maledico l’entropia. Contro cui combattiamo ogni secondo, contro la quale la battaglia è eterna e non vi è possibilità di vittoria. Una guerra di posizione silenziosa tra forze nascoste e forse inesistenti. È la ricerca di quel equilibrio instabile, il cui raggiungimento ci è e ci sarà sempre sconosciuto, che fa pendere la bilancia in ogni caso dal lato sbagliato ed il cui conseguimento è e sempre insoddisfacente.

E rendo grazie all’entropia. La quale rende meno piatte le nostre esistenze, almeno quel poco da renderle sopportabili. Ed era Eraclito che affermava che il conflitto è il motore del mondo, ed è la guerra contro il disordine a far si che il divenire non si tramuti in caos uniforme, il nulla formato da tutto l’essere che ha perso il suo scopo.

Uniformarsi a questo panta rei è come scommettere su un determinismo associato al caso, ma è una posta che dobbiamo accettare perché quelle sono le uniche carte per questa puntata ed in questo gioco non si può passare la mano. Ma se è vero che non ci si può mai bagnare nello stesso fiume, perché l’acqua ci da continuamente la stessa sensazione? E se essere e divenire sono la medesima cosa e l'uno non può prescindere dall'altro, come il vuoto si contrappone al pieno?

Io dico basta.

Dove voi vedete bianco e nero io vedrò grigio. Dove voi presterete attenzione al globale, prenderò in considerazione solo il particolare. Tra la folla mi sentirò solo e nel sonno troverò conforto. Se voi fissate una meta, io intraprenderò un viaggio. Quando vi giungererte, io continuerò a vagare. Quando arriverete all’ultima pagina, io scriverò il prosieguo . Se quello che ho non mi basta, allora lo lascerò andare. Sbroglierò il mio nodo gordiano. No. Neppure al cospetto dell'Apocalisse. Nessun compromesso.

E voi, siete ancora bloccati sempre nella stessa continuity?




3 commenti:

  1. mi chiedo cosa c'entri spiderman con tutto ciò... aspetta.... ah, forse ho colto adesso!
    comunque è una domanda che mi pongo già da qualche giorno. Se adesso ti metti pure tu a farmi venire complessi sono a posto!

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  2. oddio che depression per fortuna ogni tanto posso uscire dal mio corpo

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